Qui pubblicheremo tutti i vostri messaggi ispirati da questa situazione senza precedenti.
Senti speranza, io non so chi ti abbia smarrito, ho già i miei problemi e non posso starti dietro, e poi io vivo nel rimpianto, sono un nostalgico delle cose perdute, però forse ti ho già visto da qualche parte, ti ho immaginato proprio con quegli occhi e quel sorriso luminoso, vieni qua allora che mi racconti come sei fatta.
(Fabrizio Caramagna)
Mamma Paola — 20 Maggio 2020 @ 21:52
Ci sono due cose durature che possiamo lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali.
(William Hodding Carter II)
Auguri a tutte le mamma!
Mamma Paola — 10 Maggio 2020 @ 8:56
Una notte, mentre stai lavorando al PC, e lo schermo sembra essere diventato parte di te, e lotti per non far spegnere la speranza nei tuoi allievi, in coloro che nutri quotidianamente E umilmente di una goccia di Sapere e che vedi crescere sotto i tuoi occhi… ,
una notte ecco che accade il miracolo.
Leggi le prime righe di un elaborato,
poi ti stropicci gli occhi,
riguardi meglio…
e vedi il fiore sbocciato, nel suo pallido colore rosato e nella sua fragilità,
mentre si staglia lontano e riempie il tuo schermo.
Allora sorridi, ti spunta una lacrima, perché senti che il tuo sforzo non è stato vano
e che un ‘alunna o un alunno hanno fatto proprio un messaggio, un insegnamento
e lo hanno rielaborato con tanta forza e convinzione che ora vive di vita propria.
Senti che il tuo compito ha un senso,
senti che la libertà e la dignità che cerchi di indicare sempre e comunque
COME UNICA VIA
sono diventate l’abito di un giovane
APPARENTEMENTE DEBOLE
APPARENTEMENTE BISOGNOSO DI UNA GUIDA COSTANTE.
La notte scorre lenta
e tu ti senti meno sola, o solo
su “quest’atomo opaco del Male”.
Non arrendiamoci, dunque,
perché i NOSTRI ALLIEVI SANNO COME VIVERE
E COME SUPERARE GLI OSTACOLI
CHE AL MOMENTO POSSONO APPARIRE INSORMONTABILI.
Un'insegnante — 4 Maggio 2020 @ 0:28
Alle classi 5D e 5E, a tutte le quinte, a tutti gli studenti.
«Macché esami!» esclamò Ambrogio, allargando un solo braccio nell’impossibilità di allargarli entrambi. (…) Quasi quasi non riesco a crederci nemmeno io! Pensa Stefano: stavamo per cominciare l’ultimo ripasso, una cosa bestiale – da esaurimento nervoso, dico sul serio, non per dire – quando ci arriva la notizia che quest’anno non si fanno gli esami! Capisci? Scrutini subito, e poi tutti in vacanza entro il trentun maggio. Eh? Se penso a quei disgraziati che l’anno scorso hanno dovuto sputar sangue per superare gli esami».
«Ma voi perché non li fate? Forse per la guerra? Voglio dire, per il pericolo di guerra?»
«Sì» disse Ambrogio, di colpo meno euforico «almeno credo; non può essere che per questo. (…) Certo se viene la guerra la fortuna di oggi finiremo col pagarla cara…» (E. Corti, Il cavallo rosso, Ares, Milano 1983, 11).
Ora che il trentun maggio si avvicina, ora che il ripasso da esaurimento nervoso (non) sta per cominciare, ora che non dovrete sputare sangue per superare gli esami, riflettiamo anche sulla “fortuna” di oggi.
Eugenio Corti, e con lui tanti altri –Rognoni, Spadolini…– non fecero l’esame di maturità per via della guerra. Le righe che vi ho riportato sono un colloquio tra due protagonisti del suo romanzo, Il cavallo rosso.
C’è un’altra pagina dello stesso libro che è interessante rileggere in questi tempi. Corti racconta della tragica ritirata dei battaglioni tedeschi e italiani dalla campagna di Russia; racconta come in situazioni di questo genere emergano coloro che trovano dentro di sé lo slancio gratuito al sacrificio per gli altri, la spinta verso la solidarietà, la capacità di lanciarsi nel pericolo fino a dare la vita.
«A sostenere il peso degli attacchi per estromettere il nemico dalla vallata erano stati i soliti ragazzi di buona volontà, sempre gli stessi, quelli che anche prima della ritirata avevano costituito l’ossatura e il cemento dei reparti. Di costoro un certo numero era morto nei recenti combattimenti sul Don, altri (…) negli scontri all’inizio della ritirata, e tutti o quasi i rimanenti morirono in questi attacchi. Scomparsi costoro i reparti cessarono completamente di essere reparti; non rimase (…) che una massa incoagulabile d’individui terrorizzati, intesi solo a salvarsi la vita, ma incapaci a tal fine d’imporsi la minima iniziativa o disciplina» (E. Corti, Il cavallo rosso, Ares, Milano 1983, 409).
Il mio augurio è di essere ragazzi di buona volontà.
Professoressa Anna Ballarino, Liceo Majorana
A. Ballarino — 30 Aprile 2020 @ 17:55
Vorrei dire a Giulia che la pagina del suo diario mi ha commossa. Ti abbracciamo forte!
Anonimo — 29 Aprile 2020 @ 11:12
E ogni tanto ripenso a quando ero bambina.
Quando il problema più grande era a che gioco giocare.
Quando si era tutti amici senza odi e rancori.
Quando per fare pace bastava il mignolo.
Quando tutto era più semplice.
E allora mi rendo conto che le ginocchia sbucciate non facevano così male.
Mamma Paola — 21 Aprile 2020 @ 11:12
Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia.
Perché oltre la nera cortina della notte ci aspetta un’alba che sorgerà più splendente e abbagliante di prima come una rinascita,un nuovo inizio
Martina 2CC — 12 Aprile 2020 @ 20:24
Auguriamo a tutti voi Serena Pasqua!
Una delle MajoFamily — 12 Aprile 2020 @ 14:02
Forse non ora,forse non oggi e forse non domani,ma voglio continuare a credere che ogni cosa si sistemerà e che questo brutto periodo passerà. Questo è il mio augurio per questa Santa Pasqua
Mamma Paola — 12 Aprile 2020 @ 8:23
Buongiorno a tutti. Sono Paola Sbuelz, una ex prof del Majorana. Approfitto di questo meraviglioso spazio, nato da un’esigenza purtroppo tragica, per augurare a tutti voi, ai miei ex colleghi, ai miei ex bidelli, alle persone della segreteria, alla preside, ai ragazzi, ai loro genitori, dal profondo del mio cuore, un augurio sincero di Buona Pasqua, di speranza, di rinascita, di fratellanza.
In particolare ho sempre nel cuore i miei ex alunni ora in 3cc e in 5cc, che abbraccio forte uno per uno. Quelli più piccoli, che ho lasciato freschi primini entusiasti e affettuosi, sopravvissuti al primo round, e che sono ormai giovanissimi uomini e donne. E soprattutto i più grandi, che quest’anno devono coronare il loro cammino liceale: quest’inverno, quando -spesso- mi venivano in mente, me li immaginavo timorosi, ma concentrati e preparati mostrare a giugno a dei prof esterni (speravo anche miei attuali colleghi, cui avevo già parlato di voi) quanto siete capaci, sensibili, intelligenti, profondi… purtroppo la vita ci sorprende, oggi in modo particolarmente doloroso, ed è probabile che vivrete una Maturità speciale e blindata. Non importa, stiamo vivendo una prova che deve renderci più grandi e maturi. Come il Venerdì Santo, che è stato passaggio obbligato per la Pasqua. Vi abbraccio stretto, tutti, confidando che ritornerà il sole e augurandovi di tenere accesa comunque la vostra lampada. Buona Pasqua a tutti.
Paola Sbuelz — 10 Aprile 2020 @ 19:08
PABLO NERUDA – Ode alla speranza
Crepuscolo marino,
in mezzo
alla mia vita,
le onde come uve,
la solitudine del cielo,
mi colmi
e mi trabocchi,
tutto il mare,
tutto il cielo,
movimento
e spazio,
i battaglioni bianchi
della schiuma,
la terra color arancia ,
la cintura
incendiata
del sole in agonia,
tanti
doni e doni,
uccelli
che vanno verso i loro sogni,
e il mare, il mare,
aroma
sospeso,
coro di sale sonoro,
e nel frattempo,
noi,
gli uomini,
vicino all’acqua,
che lottiamo
e speriamo
vicino al mare,
speriamo.
Le onde dicono alla costa salda:
Tutto sarà compiuto.
Mamma Paola — 10 Aprile 2020 @ 11:47
In questo particolare tempo che stiamo vivendo, l’opera d’arte che mi ha aiutato nella riflessione sulla Pasqua, è Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere di Vincent van Gogh. Il tormentato artista olandese nonostante venga considerato geniale, folle e visionario ha realizzato dei capolavori che sono intrisi di una forza che erompe dalla tela per colpire gli occhi e il cuore dello spettatore.
Nel febbraio1888, van Gogh lascia Parigi e si trasferisce ad Arles nel Sud della Francia. All’inizio della sua trasferta, il cattivo tempo invernale impediva al pittore di lavorare all’esterno, però nonostante il freddo, quell’anno, i mandorli fiorirono in anticipo, prefigurando un riscaldamento imminente e Vincent inizia a dipingere i paesaggi in fiore e tra questi raffigura un ramo di mandorlo, in un semplice bicchiere trasparente. Van Gogh dipinge questa tela proponendo l’effetto di una luce brillante che entra dalla finestra. I raggi di sole invernali penetrando attraverso il vetro del bicchiere fanno brillare i delicati petali bianchi. Questa tela, insieme a un’altra opera del pittore intitolata Ramo di mandorlo in fiore che realizza due anni dopo nel 1890, in occasione della nascita del nipote, sembrano essere un insolito inno alla vita, una parentesi di felicità nella sua tormentata esistenza.
Solitamente la fioritura del mandorlo annuncia la primavera, la rinascita e la speranza. Nella tela che abbiamo preso inizialmente in considerazione, sembra che van Gogh, riempendo di luce quella natura morta che dipinge decide di far entrare nella sua stanza la primavera. L’inquieto artista dà l’impressione di cercare il sole della Provenza e vuole raccontare la felicità che desidera e che in quel momento percepisce come dono di gioia ritrovato in quello sprazzo di sole che entra nel bicchiere e che dà vita a quei fiori recisi. Secondo alcuni esperti, la linea rossa lungo la parete beige e il nome scritto in alto a sinistra sono simbolo di speranza. Il pittore, come se volesse lasciare al di là della linea rossa la sua vita impallidita e tormentata dal freddo della sofferenza e vuole mostrare il vero Vincent che il suo animo bramava. In quest’occasione, van Gogh trasforma la natura morta in una nuova natura incentrata sulla vita, grazie al valore della speranza che, nonostante tutto, percepisce. Ciò viene anche confermato, dai colori brillanti presenti nell’opera. Anche le vivide gemme del mandorlo rimandano alla speranza che dona vitalità e luce all’esistenza la quale, spesso, appare opaca e vuota agli occhi degli uomini.
Il significato profondo della Pasqua è quello di “passare oltre” dalla morte alla vita, dal buio alle tenebre, dalla schiavitù del peccato alla liberazione. Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione ha realizzato ciò che prefigurava attraverso la parabola del “Chicco di grano”.“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Gesù crocifisso e risorto è “passato oltre” come il chicco di frumento che, passando ad essere altro da sè, ha portato frutto. Il Risorto ha donato beneficio a tutta l’umanità che deve passare dall’inverno freddo e arido dell’individualismo ad una nuova primavera di valori.
Anche il travagliato van Gogh, in Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere, lasciando entrare la luce ha trasformato la natura morta in una nuova realtà fondata sulla vita per riferire il suo desiderio di felicità. Allo stesso modo anche ognuno di noi, nonostante le preoccupazioni e le paure in questa strana e insolita Pasqua che ci accingiamo a vivere, deve cercare il sole della speranza e lasciarlo entrare sia nelle nostre case che dentro le nostre esistenze. Il calore e la luce di questo particolare sole trasformerà il buio in luce e il freddo glaciale delle nostre sofferenze lascerà il passo al tepore della gioia di una stupenda primavera. Allora, sarà ancora Pasqua per tutti.
Auguri di cuore a tutti!
Buona Pasqua 2020!
Maurizio Buonocore
(opera di riferimento :
Vincent Van Gogh,Ramodi mandorlo in fiore in un bicchiere,
Van Gogh Museum Amsterdam,1888)
La speranza è come una strada nei campi: non c’è mai stata una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma.
(Yutang Lin)
Mamma Paola — 4 Aprile 2020 @ 20:39
Cari professoresse e professori,
quest’anno è stato il nostro #senioryear, l’ultimo anno della nostra carriera scolastica, l’ultimo di una lunga serie piena di capitomboli e inciampi, ma anche di sorrisi, conquiste e soddisfazioni.
Con immenso dispiacere, non è più solo la maturità il grande ostacolo che da lontano osserviamo e che speriamo ci proietti verso tutte quelle che sono le nostre ambizioni; il nostro futuro appare ora meno limpido e certo, offuscato da molte preoccupazioni che sicuramente anche voi condividete.
È una situazione particolare quella che stiamo vivendo, la cancelliera tedesca Angela Merkel l’ha definita la situazione più grave dalla fine della seconda guerra mondiale. È un momento che certamente le future generazioni troveranno scritto sui libri di scuola e difficilmente troveranno possibile una cosa del genere: tutto il nostro mondo in perenne frenesia si sta fermando, o perlomeno rallentando, sotto i colpi di questo nemico invisibile; l’economia stessa è al tracollo. La globalizzazione nel giro di poche settimane ci ha fatto sentire, forse per la prima volta nel corso dei secoli, cittadini del mondo, abitanti di una piccola palla di roccia nell’immensità del cosmo uniti a fronteggiare una causa comune. Numerosi sono stai i messaggi di solidarietà inviati da ogni nazione del mondo al bel paese, prima che il virus li raggiungesse e si diffondesse anche sul loro territorio.
Ogni sera sentiamo in radio o in televisione quello che ormai sembra un bollettino di guerra: i nuovi infetti giornalieri nel mondo crescono esponenzialmente così come il numero dei morti, seguito dal sempre troppo basso numero di guariti. Il D.P.C.M dell’8 marzo ha istituito una quarantena statale ed esteso i divieti che già vigevano in tutta la Lombardia, e in altre province, a tutto il territorio della Repubblica. Milioni di studenti si sono così ritrovati costretti a casa e le aziende hanno collaudato, forse per la prima volta, lo smart working.
Al grido #iorestoacasa i social si sono mobilitati, con lo scopo di aiutare a diffondere questo difficile obbligo, quasi ossessivamente al fine di farlo diventare un sorta di mantra a cui aggrapparsi: una nuova moda da sostituire alla serata con amici in discoteca o pizzeria. Numerose sono le iniziative proposte da influencer, calciatori, stelle del basket, politici e perfino da studiosi attraverso i canali virtuali e dobbiamo dire che l’Italia ha raccolto con una buona dose di ironia e benevolenza tutto questo (tra queste ci piace ricordare l’appuntamento fisso sui balconi alle diciotto con nelle casse le canzoni che hanno fatto l’Italia).
Con gli smartphone che ci tengono connessi gli uni con gli altri, ci illudiamo di non sentirci soli in questo periodo di isolamento forzato. La verità, però, è che nonostante tutti questi schermi che ci tengono vicini non siamo mai stati così lontani; in una conversazione tramite messaggio manca tutta la comunicazione indiretta o non verbale che ci rende degli esseri umani e non dei semplici automi, si perde il sorriso di un nostro compagno quando facciamo una battuta, gli sbuffi causati da un prof che ci chiede di impegnarci o gli abbracci che ci diamo dopo una giornata no.
Nonostante tutto, l’isolamento non riesce ad intaccare le amicizie che abbiamo creato tra le file e i banchi di scuola. Una scuola che si è digitalizzata in molte sue parti, dove anche i professori meno legati alla tecnologia si stanno impegnando e dedicando al fine di mostrare l’amore che provano verso il proprio lavoro ma in particolar modo verso i loro alunni. Lo capiamo, spesso è difficile parlare con uno schermo nero pieno di cerchi colorati che vanno e vengono, un monitor su cui, solo di tanto in tanto, appare qualche nostro volto. Tuttavia ce la state mettendo tutta, e nemmeno i problemi di connessione vi stanno fermando dall’assegnare un voto o dal portare avanti il programma!
In questi giorni abbiamo molto tempo a nostra disposizione per pensare: sono milioni i dubbi e le insicurezze insormontabili. Stiamo riscoprendo il significato di molte parole come tranquillità, resilienza e soprattutto famiglia. Con i nostri genitori, fratelli e sorelle relegati in casa assieme a noi stiamo condividendo un momento che certamente segnerà la nostra esistenza: i genitori sempre di fretta ora ci insegnano a cucinare, i fratelli con cui litighiamo sempre sono diventati i nostri nuovi amici, e probabilmente non abbiamo mai telefonato così tanto ai nostri nonni per sapere se stanno bene.
Ci siete però anche voi nei nostri pensieri, un po’ ci manca vedervi entrare in aula carichi di libri e perennemente in ritardo perché avete dovuto cambiare di sede. Voi che in questi cinque anni avete provato ad insegnarci i valori di perseveranza e dedizione inerentemente alla vostra materia e lo sappiamo che non è facile! Eppure siamo arrivati alla fine di questo cammino, insieme ad alcuni di voi che ci accompagnano fin dal primo anno quando con la manina ci avete insegnato a prendere appunti e a seguire per tutta una lezione.
Abbiamo perso molti nostri compagni per strada ed altri si sono aggiunti lungo il tragitto fino a costituire la classe di adesso… molto diversa dalla prima! Abbiamo arricchito la nostra vita di esperienze diverse e indimenticabili: ci avete seguito in lunghe regate nel mare sardo, attraverso le vie della più popolosa capitale europea, e persino nei capannoni del CERN. Certo abbiamo dovuto sopportare le vostre lunghe ramanzine, ma anche noi non siamo così tanto facili da gestire! Siamo un branco di studenti ognuno con un’idea diversa da dover ascoltare, ma mai vi siete voltati e ci avete ignorati; siete sempre stati al nostro fianco anche nei momenti più difficili, cercando in ogni momento possibile di rompere il vetro che ci separa per dimostrarci che, in fondo, siete un po’ umani anche voi.
Abbiamo vagliato molti ambiti del sapere, dal moto di oggetti alla teoria della relatività, dalla nascita della letteratura italiana fino ai più contemporanei autori del secondo Novecento, dai rudimenti della programmazione fino ad algoritmi complessi, dalle basi della grammatica inglese all’analisi di testi come l’Ulisse di Joyce, dai numeri naturali agli integrali, dalla legge della conservazione della massa fino al ciclo di Krebs e alle moderne biotecnologie, dalla scoperta della filosofia al pensiero contemporaneo, dalla nascita delle prime forme d’arte fino agli incomprensibili artisti del terzo millennio, insomma dagli albori dell’umanità fino all’attualità. Eh sì, il nostro pensiero va anche a lei, prof di educazione fisica che immancabilmente, anche a distanza, cerca di farci staccare dalla sedia e far fare un po’ di movimento a questi liceali tutta testa e niente braccia; e a lei prof di religione che ci propone sempre un argomento nuovo su cui riflettere.
La scuola è stata la nostra vita e voi parte di essa. Non lo facciamo mai, siamo sempre presi dai nostri mille pensieri da ragazzi , dai nostri amori e dalle nostre difficoltà, ma per una volta vogliamo renderci conto di quanto voi siate importanti per noi.
Ora che ormai è un mese che non bazzichiamo più per i corridoi del liceo, vogliamo ringraziarvi per tutto: per averci messo alla prova, per averci trasmesso il vostro sapere in modo appassionato e per averci permesso di avere qualcuno con cui dialogare degli argomenti più complicati.
Grazie di essere stati con noi e di accompagnarci verso questi ultimi, interminabili passi, i più complicati che mai.
Vi salutiamo con tanto affetto, nella speranza e nel desiderio che presto questa assurda situazione si concluda e tutto possa tornare alla nostra bellissima quotidianità.
La Classe 5°H 2019/2020
Classe 5ªH — 1 Aprile 2020 @ 15:34
Sono un’infermiera.
Ogni notte per me è tempesta di pensieri(Alda Merini)
Alle volte il silenzio dice quello che il tuo cuore non avrebbe mai il coraggio di dire(AldaMerini)
Una mamma — 31 Marzo 2020 @ 21:44
Buongiorno a tutti,
in questo momento strano, dove tutto sembra in sospeso, tutto sembra in attesa, nonostante quello che vediamo intorno a noi sembri totalmente negativo, io credo che qualcosa di positivo lo abbiamo ritrovato tutti, ne sono sicura, ed è proprio il tempo.
In questo nuovo tempo ritrovato mio figlio ha scoperto quanto sia dolce guardare il sorriso di suo nonno nonostante sia attraverso uno schermo, ha goduto della serenità di un film tutti insieme sul divano, la strana sensazione della farina impastata tra le dita per fare la pasta fresca, il frastuono ossessivo della vita quotidiana soppiantato dal silenzio interrotto unicamente dal suono delle campane, ha scoperto quanto sia edificante una cena col tempo per potersi raccontare ed ascoltare, ha scoperto quanto furbo può essere il suo gatto se gli nasconde i crocchi, ha scoperto quanto siano in realtà così lunghe le giornate quando prima sembravano troppo veloci.
Certo, la libertà non ha prezzo, nemmeno se barattata col tempo per viverla, ma quando torneremo alla normalità non dovremmo dimenticarci di provare a viverlo meglio il tempo a nostra disposizione, e di non correre più per la fretta di una giornata che sta per finire.
Un grazie immenso a tutti i professori del liceo. Faccio smart working e sono seduta di fianco a mio figlio durante le video lezioni. Si sono reinventati, alcuni anche a fatica, un lavoro dove il contatto umano e visivo era di primaria importanza. Sentir loro dire ‘faccio l’appello perchè mi piace sentire le vostre voci’ mi fa sorridere di gioia, vedere i professori, quelli magari un pò più ‘datati’ (non me ne vogliano) che con la tecnologia magari nemmeno ci parlavano, connettersi, spiegare e interrogare è esemplare.
Grazie di cuore, l’esempio che state dando, quello di voler e poter fare nonostante tutto, può essere più educativo di qualsiasi ora di studio!
Una mamma — 31 Marzo 2020 @ 16:23
Quello che stiamo vivendo oggi non è facile da assimilare e affrontare. I telegiornali a momenti non ci comunicano più il meteo tanto la situazione è d’emergenza. Le nostre vite verranno stravolte e difficilmente ci sarà qualcuno che non verrà affetto, neanche indirettamente, da questa pandemia. Non importa se vecchio o diabetico, giovane o asmatico, sanissimo o affetto da immunodeficienza. Non è il rischio di essere infettati che ci distingue dagli altri. Dobbiamo proteggerci tutti a vicenda, senza discriminarci, cosa che vedo e sento troppo spesso e che mi fa male al cuore. Fortunatamente non mi riferisco agli italiani, ma più che altro a quelle persone che non hanno ancora sperimentato le conseguenze di questo problema, che in realtà ci riguarda tutti. È difficile capire la gravità della situazione quando ci sembra lontana. A tutti piace credere che i nostri problemi siano lontani. Io penso a te che stai leggendo in questo momento mentre sto in casa. Io penso ai miei genitori, ai tuoi e ai suoi. Io penso ai miei nonni, ai miei parenti e ai miei amici, così come ai vostri. Io penso anche agli sconosciuti e a coloro che capiscono l’esigenza che abbiamo di stare a casa e stare al sicuro. Dato che alcuni di noi escono senza motivo, mettendo in pericolo le vostre vite e quelle degli altri, io sto a casa. Una persona in meno in circolo. Io sto rinunciando alle mie passioni, alle mie abitudini, al mio tempo libero e al mio svago all’aperto. Tu che esci con la scusa del cane e stai in giro tre ore, tu che ti senti più furbo degli altri uscendo per fare baccano, tu che sottovaluti la situazione, tu che gridi complotto. Io lo faccio anche per voi. E voi dovete rispettare questo mio sforzo. Questo nostro sforzo. I dottori, le dottoresse, gli infermieri, le infermiere, gli operatori e le operatrici socio-sanitari, loro più di me lavorano per tutti. E noi dobbiamo rispettare questo loro sforzo. C’è gente che sta letteralmente dando la vita per noi. Per questo l’unica cosa che ci può salvare adesso è rimanere uniti, a debita distanza, e non oltrepassare il limite. Io lo sto facendo. E tu?
Un* student* — 30 Marzo 2020 @ 15:15
“Giovane, dico a te, alzati!”».
«Dico, dunque, a tutti voi: siate fiori che cantano, irradiate la gioia perché il mondo sta morendo di tristezza. Contrastate con il contagio della gioia il contagio del virus e di ogni male. Siate fiori che colorano la terra: svegliate la bellezza che si è assopita sotto la coltre del grigiore. Fate risplendere il bello che c’è in ogni uomo e in ogni donna».
(Omelia Arcivescovo di Milano)
Grazie a tutti gli insegnanti che stanno cercando egregiamente di far rifiori i nostri ragazzi.
Una mamma — 30 Marzo 2020 @ 10:44
“Beati quelli che piangono”
Con i miei studenti, attraverso la piattaforma spark del nostro liceo, stiamo riflettendo su diverse tematiche che rimandano alla speranza. Interessanti sono le riflessioni che gli studenti hanno condiviso, ricche di speranza e forza. Con i ragazzi del primo anno, in modo particolare, stiamo meditando sulle “beatitudini” del Vangelo alla luce della situazione eccezionale che stiamo vivendo. Questa pagina del Vangelo di Matteo è un vero canto universale alla speranza della felicità. Per questo voglio condividere con tutti una riflessione su una delle beatitudini: “Beati quelli che piangono, perchè saranno consolati” e invitarvi a continuare a riflettere.
Le beatitudini evangeliche possono essere considerate come un vero e proprio progetto di vita, proposto da Gesù Cristo, a tutti gli uomini e possono essere considerate come una “dichiarazione”, che si fonda su benedizioni e promesse di felicità, suddivise in otto punti. Il termine “beato” viene attribuito a coloro che posseggono le caratteristiche per vivere appagati e godere dei benefici del Regno celeste promesso da Gesù già in questo mondo. La felicità delle beatitudini non è quella promossa dalla cultura odierna. Quella delle beatitudini nasce dal dolore. Ciò non vuol dire che la ricerca del piacere insito nella natura della vita sia negativa; ma vuol significare che se si assolutizza il piacere inteso solo come esaltazione del proprio io, non riusciremo mai a costruire una società veramente “felice” dove tutti, in egual modo, possano essere beati.
La beatitudine degli afflitti, che considera la felicità di coloro che piangono, è la più paradossale e ci pone tante domande. Infatti, quale felicità ci può essere dentro un pianto? Il pianto, di cui parla il Vangelo, sono le lacrime degli afflitti e il pianto disperato dei lutti della storia, come le lacrime versate in questi giorni nelle case, negli ospedali in cui si consumano le vite di tanti che muoiono e tanti altri che riescono a sopravvivere alla pandemia causata dal Covid-19. Sono le lacrime di tanti medici, infermieri e volontari che combattono senza tregua per la vita. Sono le lacrime dei sofferenti e dei disperati di sempre. In verità, il pianto di un neonato è segno che il bambino respira ed è vivo e questo rende evidente che il pianto e le lacrime costituiscono il primo linguaggio degli esseri umani. Il pianto, è spesso anche l’ultimo atto compiuto prima di lasciare questa vita. Tutti sappiamo immediatamente decifrare questo naturale e universale linguaggio, anche se parliamo lingue diverse e viviamo in culture differenti. Per questo motivo la beatitudine “di chi piange” è una promessa universale che raggiunge ogni essere umano e quindi ogni creatura. Gesù, chiamando beati gli afflitti, ha considerato beati tutte le donne e gli uomini della storia. La beatitudine rivolta a coloro che piangono è la “consolazione”. L’affermazione, “beati gli afflitti” del Vangelo si completa così con un’intenzione molto chiara verso la consolazione. Il Vangelo usa il verbo consolare, in greco parakaleo, che significa chiamare vicino, invitare, coinvolgere, confortare, esortare, curare. L’evangelista si rifà al profeta Isaia quando dichiara che il Messia verrà a consolare gli afflitti e dare “loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto” (cfr. Isaia 61). La beatitudine consiste allora nel fare esperienza dell’arrivo di una consolazione. Scoprire una presenza reale che ci consola mentre piangiamo. In questa beatitudine, diversamente dalle altre, la felicità sta nel cambiamento della condizione che genera la beatitudine. Quando dentro il nostro pianto e la nostra disperazione sopraggiunge la consolazione, il pianto si riduce, le lacrime iniziano a essere asciugate. La vita sarebbe insopportabile se dentro le lacrime non trovassimo anche la consolazione. Possiamo scoprire che una prima consolazione è l’esperienza di poter piangere. Tanti cambiamenti avvengono, ad esempio, con un profondo e irrefrenabile pianto. Un’altra forma di consolazione è quella che nasce dal poter piangere insieme a qualcuno che condivide la nostra sofferenza. Com-piangere, com-patire, infatti, allevia il dolore di tutti. Un’altra speciale consolazione è quella che proviene dell’arte. Il poeta, lo scrittore, il pittore, con la sua opera può raggiungere i disperati e offrire, in parte, anche a loro la consolazione che anelano. Una fondamentale consolazione degli afflitti è quella che arriva misteriosamente dall’alto, da Dio stesso come spirito di consolazione che abbraccia, come fa il padre misericordioso della parabola, che corre incontro al figlio che si era smarrito. Certo, non tutti sappiamo, o vogliamo, fare esperienza di Dio. Ma forse tutti, abbiamo incontrato nella vita, almeno una volta, questo spirito consolatore, o lo incontreremo in futuro. Non si tratta di un evento straordinario, ma di una presenza reale che arriva improvvisa al momento giusto. Penso, in questi giorni, ai tantissimi sguardi consolatori dei medici, infermieri e volontari che, se pur coperti da caschi, mascerine o tute protettive, incrociano lo sguardo bagnato dalle lacrime di tanti che si ritrovano soli nelle terapie intensive o nelle camere affollate degli ospedali, ormai saturi di sofferenza. I loro sono sguardi di consolazione e di bene che asciugano un poco le lacrime di tanti afflitti e offrono, in un modo o nell’altro, uno squarcio di luce e di speranza lasciando intravedere la strada verso casa dopo l’inaspettato smarrimento.
Maurizio Buonocore — 29 Marzo 2020 @ 18:07
Sono volontaria in croce rossa e alunna al majo. In questi giorni ho fatto alcuni servizi in cui portavo i farmaci e la spesa agli anziani, mi è capitato di fermarmi a scambiare due parole sulla porta a debita distanza e mi sono accorta di una cosa: si sentono soli!
Quindi ho un consiglio da dare a tutti gli alunni/professori/genitori: se avete parenti/conosceti in quarantena da soli, chiamateli! Non avete idea di come si illumini il loro viso quando ci vedono arrivare, perfetti sconosciuti ma comunque le uniche persone che incontrano nell’arco della settimana.
Un'alunna — 28 Marzo 2020 @ 19:37
Comprato in edicola giovedì mattina e letto tutto d’un fiato, Nel contagio di Paolo Giordano…
Ma, prima di chiudere il libro è inevitabile un’esitazione … ed è allora che allo sguardo si impongono le parole delle ultime due pagine, soprattutto le tre righe con cui si questa riflessione si conclude…
Contare i giorni.
Acquistare un cuore saggio.
Non permettere che tutta questa sofferenza trascorra invano.
Perché è proprio così, davvero in questi giorni tutti non fanno altro che contare: gli infetti e i guariti, i ricoveri e le persone che sono mancate … e noi, insegnanti e studenti, le mattine di scuola perse, le ore di video-lezione già fatte e quelle ancora da fare, qualcuno anche i giga del cellulare che diminuiscono a vista d’occhio…
E contiamo e ricontiamo i giorni, soprattutto quelli, i giorni che ci separano da quando l’emergenza sarà passata.
Ecco allora che, in questo momento che può sembrare solo un intervallo penoso, ancora una volta lo stupore ci coglie mentre ascoltiamo una voce che si leva dalle profondità incommensurabili di un tempo “perduto” alle origini del mondo, ma che attraverso la pagina scritta è capace di raggiungerci con tutta la sua potenza in queste ore sospese, quasi a tenere accesa nei nostri cuori la luce della speranza.
Si tratta un’invocazione contenuta nel Salmo 90, su cui Paolo Giordano invita a porre la nostra attenzione:
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
… fare uno sforzo per attribuire un senso al contagio, imparando a usare meglio questo tempo, così che possa davvero essere vissuto come καιρός, il momento favorevole da impiegare per pensare ciò che la normalità ci impedisce di pensare: come siamo arrivati qui, come vorremo riprendere, questo è l’essenziale nei giorni che stiamo vivendo.
Si comprende, allora, l’incredibile aiuto che l’esperienza scolastica può offrirci in queste ore, in cui aprire una finestra nel buio di un passato, che in altri momenti a qualcuno avrebbe potuto sembrare ormai morto, può fare la differenza, perché con stupore sempre nuovo ci sentiamo raggiunti dall’eco di voci che sul tempo ci hanno lasciato parole indimenticabili, capaci di confortare in momenti come questo: un dono prezioso di cui dobbiamo essere grati, come ho detto agli studenti della 5°A a cui ho proposto la lettura e lo studio del De brevitate vitae, quell’opera con cui Seneca vuole, appunto, iuvare mortales aiutandoli a capire come usare bene il tempo a loro disposizione.
Ascoltare questa voce nel non-spazio di un’aula virtuale è stata – e continua a essere – un’emozione rara, quasi incredibile, perché veramente vengono i brividi e ci si commuove scoprendo che
Quella fede nell’uomo che si è fatta parola,
non attende che un lettore per rivivere.
E ha di bello che, essendo svanita la realtà
che le ha prodotte, le parole danno adesso
da sole
tutto il senso e la freschezza che contengono. [PAVESE]
E così ci rendiamo conto che veramente – come Raskolnikov afferma in Delitto e castigo –
Vengono certi momenti in cui occorre assolutamente andare da qualcuno!
…. tanto più ora che non possiamo farlo fisicamente. Per questo le parole di Seneca ci confortano, perché come tutti i grandi anch’egli non manca mai all’appuntamento con chi si pone in ascolto delle sue parole: a tutti dona il suo tempo, come con lui hanno fatto altri prima di lui, con i quali egli ci dice che
nocte conveniri, interdiu ab omnibus mortalibus possunt
(di notte, di giorno a tutti è possibile incontrarli)
È bello sapere che, in questo dialogo senza barriere di tempo e di spazio, l’incontro con qualcuno che
per tutta la vita, ha cercato di parlare con te [PAVESE]
può sempre accadere, anche in un tempo sospeso come quello in cui da un giorno all’altro ci siamo trovati immersi e nel quale siamo chiamati a dare un senso a una quotidianità che ora ci sembra assurda perché, lo sappiamo bene, la vita è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere [PIRANDELLO].
Ringrazio, quindi, i miei studenti di 5°A che, seppure in giornate difficili, sono stati capaci di far risuonare in tutta la loro verità le parole degli autori a cui in questo periodo ci siamo accostati leggendone i testi: ed è così che anche il momento dell’interrogazione è stato davvero … un incontro tra uomini.
Per usare ancora le parole di Pavese,
Pensiamo a essere uomini. Il resto verrà.
Alessandra Silva 5°A e 1°bb — 28 Marzo 2020 @ 16:39
Anche se il timore avrà più argomenti,scegli la speranza.
(Seneca)
Mamma Paola — 28 Marzo 2020 @ 16:11
Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia.
(Haruki Murakami)
Anonimo — 27 Marzo 2020 @ 17:09
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
(Ungaretti)
Una mamma — 27 Marzo 2020 @ 10:20
Se sapremo trasformare il dolore in qualcosa di buono, diventeremo la migliore versione di noi stessi e, come un’ostrica ferita, produrremo delle perle.
Le perle, infatti, nascono solo quando un corpo estraneo, come un granello di sabbia, riesce ad entrare dentro l’ostrica. A quel punto, l’ostrica attiva dei meccanismi di difesa, producendo una sostanza che ricopre il corpo estraneo con diversi strati. Questa sostanza è la madreperla.
E così una perla altro non è che il risultato di una ferita cicatrizzata, della lotta dell’ostrica per proteggersi.
Ne usciremo più forti di prima! 💖
Romina Sutera — 27 Marzo 2020 @ 0:01
Buona sera a tutti,Dottoressa Rauseo,professori,ragazzi,ragazze,stiamo vivendo un periodo molto difficile sotto molti punti di vista.Ho dei momenti durante i quali mi sembra di essere la protagonista di un film di fantascienza.E’ complicato spiegare,ma vi garantisco che non è una sensazione piacevole.Mi sembra quasi di regredire,vorrei la mia mamma.
Per fortuna i nostri ragazzi ci danno forza,il mio poi continua a parlare di scuola,dei suoi Proff.,delle lezioni.Sono contenta di ciò perché significa a che la nostra scuola è proprio fantastica.
Mamma Paola — 26 Marzo 2020 @ 18:43
[…] Durante il mese di marzo, perciò, i giorni son diventati più densi. Quel tempo libero, che inizialmente sembrava un periodo festivo, allungandosi a dismisura a causa della costrizione ha imposto alcune domande inevitabili […] Le domande e la compagnia – leggi la lettera completa
Prof. Francesco Tanzilli — 25 Marzo 2020 @ 18:53
Cari professori, cara dirigente, cari collaboratori e cari alunni, questo momento che stiamo vivendo è davvero strano (per usare un eufemismo): personalmente, alterno momenti di profondo scoramento, con sentimenti di alienazione ad altri di positività e speranza, nel tentativo di far prevalere questi ultimi sui primi. Voglio credere che anche da questa situazione drammatica possa nascere qualcosa di buono: senza voler fare inutile retorica e ripetere frasi già lette e rilette, l’unica cosa che davvero auguro a tutti è di rivalutare l’importanza dei rapporti, delle relazioni umane e di comprendere che da questa situazione, che ci ha costretti all’isolamento, impariamo quanto sia importante essere aperti al mondo, agli altri e che davvero solo dal senso di responsabilità e dall’amore verso il prossimo potrà arrivare la nostra salvezza.
Colgo l’occasione per ringraziare i docenti per il lavoro egregio che stanno facendo con i nostri ragazzi, in queste condizioni precarie…grazie per la vostra professionalità, che troppo spesso non viene riconosciuta. Grazie da una mamma di vostri alunni.
Una mamma — 25 Marzo 2020 @ 10:03
Visto che già da diverso tempo era noto ai Governi di tutto il mondo che le probabilità di pandemia erano molto alte nel mondo (*) e non si è fatto nulla per prepararsi, mi auguro che i nostri figli ed in generale le nuove generazioni abbiano più consapevolezza e la scuola li prepari ad affrontare con più logica scientifica e meno politica i rischi globali che potrebbero mettere in futuro a dura prova l’umanità.
(*) vedi, ad esempio, il rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità di settembre 2019: World at risk”
Aurelio — 24 Marzo 2020 @ 22:15
[…] Ho sentito che a qualcuno fanno piacere i messaggi di incoraggiamento, così vorrei contribuire. Vorrei dire che questo momento passerà e che ci lascerà dei doni preziosi […] Leggi la lettera completa
Una professoressa — 24 Marzo 2020 @ 21:39
[…] Sono la mamma di un ragazzo di prima e vorrei farla partecipe di ciò che sta accadendo ai ragazzi a casa, magari le farà piacere avere notizie […]
Senti speranza, io non so chi ti abbia smarrito, ho già i miei problemi e non posso starti dietro, e poi io vivo nel rimpianto, sono un nostalgico delle cose perdute, però forse ti ho già visto da qualche parte, ti ho immaginato proprio con quegli occhi e quel sorriso luminoso, vieni qua allora che mi racconti come sei fatta.
Mamma Paola — 20 Maggio 2020 @ 21:52(Fabrizio Caramagna)
Ci sono due cose durature che possiamo lasciare in eredità ai nostri figli: le radici e le ali.
Mamma Paola — 10 Maggio 2020 @ 8:56(William Hodding Carter II)
Auguri a tutte le mamma!
Una notte, mentre stai lavorando al PC, e lo schermo sembra essere diventato parte di te, e lotti per non far spegnere la speranza nei tuoi allievi, in coloro che nutri quotidianamente E umilmente di una goccia di Sapere e che vedi crescere sotto i tuoi occhi… ,
una notte ecco che accade il miracolo.
Leggi le prime righe di un elaborato,
poi ti stropicci gli occhi,
riguardi meglio…
e vedi il fiore sbocciato, nel suo pallido colore rosato e nella sua fragilità,
mentre si staglia lontano e riempie il tuo schermo.
Allora sorridi, ti spunta una lacrima, perché senti che il tuo sforzo non è stato vano
e che un ‘alunna o un alunno hanno fatto proprio un messaggio, un insegnamento
e lo hanno rielaborato con tanta forza e convinzione che ora vive di vita propria.
Senti che il tuo compito ha un senso,
senti che la libertà e la dignità che cerchi di indicare sempre e comunque
COME UNICA VIA
sono diventate l’abito di un giovane
APPARENTEMENTE DEBOLE
APPARENTEMENTE BISOGNOSO DI UNA GUIDA COSTANTE.
La notte scorre lenta
e tu ti senti meno sola, o solo
su “quest’atomo opaco del Male”.
Non arrendiamoci, dunque,
Un'insegnante — 4 Maggio 2020 @ 0:28perché i NOSTRI ALLIEVI SANNO COME VIVERE
E COME SUPERARE GLI OSTACOLI
CHE AL MOMENTO POSSONO APPARIRE INSORMONTABILI.
Alle classi 5D e 5E, a tutte le quinte, a tutti gli studenti.
«Macché esami!» esclamò Ambrogio, allargando un solo braccio nell’impossibilità di allargarli entrambi. (…) Quasi quasi non riesco a crederci nemmeno io! Pensa Stefano: stavamo per cominciare l’ultimo ripasso, una cosa bestiale – da esaurimento nervoso, dico sul serio, non per dire – quando ci arriva la notizia che quest’anno non si fanno gli esami! Capisci? Scrutini subito, e poi tutti in vacanza entro il trentun maggio. Eh? Se penso a quei disgraziati che l’anno scorso hanno dovuto sputar sangue per superare gli esami».
«Ma voi perché non li fate? Forse per la guerra? Voglio dire, per il pericolo di guerra?»
«Sì» disse Ambrogio, di colpo meno euforico «almeno credo; non può essere che per questo. (…) Certo se viene la guerra la fortuna di oggi finiremo col pagarla cara…» (E. Corti, Il cavallo rosso, Ares, Milano 1983, 11).
Ora che il trentun maggio si avvicina, ora che il ripasso da esaurimento nervoso (non) sta per cominciare, ora che non dovrete sputare sangue per superare gli esami, riflettiamo anche sulla “fortuna” di oggi.
Eugenio Corti, e con lui tanti altri –Rognoni, Spadolini…– non fecero l’esame di maturità per via della guerra. Le righe che vi ho riportato sono un colloquio tra due protagonisti del suo romanzo, Il cavallo rosso.
C’è un’altra pagina dello stesso libro che è interessante rileggere in questi tempi. Corti racconta della tragica ritirata dei battaglioni tedeschi e italiani dalla campagna di Russia; racconta come in situazioni di questo genere emergano coloro che trovano dentro di sé lo slancio gratuito al sacrificio per gli altri, la spinta verso la solidarietà, la capacità di lanciarsi nel pericolo fino a dare la vita.
«A sostenere il peso degli attacchi per estromettere il nemico dalla vallata erano stati i soliti ragazzi di buona volontà, sempre gli stessi, quelli che anche prima della ritirata avevano costituito l’ossatura e il cemento dei reparti. Di costoro un certo numero era morto nei recenti combattimenti sul Don, altri (…) negli scontri all’inizio della ritirata, e tutti o quasi i rimanenti morirono in questi attacchi. Scomparsi costoro i reparti cessarono completamente di essere reparti; non rimase (…) che una massa incoagulabile d’individui terrorizzati, intesi solo a salvarsi la vita, ma incapaci a tal fine d’imporsi la minima iniziativa o disciplina» (E. Corti, Il cavallo rosso, Ares, Milano 1983, 409).
Il mio augurio è di essere ragazzi di buona volontà.
Professoressa Anna Ballarino, Liceo Majorana
A. Ballarino — 30 Aprile 2020 @ 17:55Vorrei dire a Giulia che la pagina del suo diario mi ha commossa. Ti abbracciamo forte!
Anonimo — 29 Aprile 2020 @ 11:12E ogni tanto ripenso a quando ero bambina.
Mamma Paola — 21 Aprile 2020 @ 11:12Quando il problema più grande era a che gioco giocare.
Quando si era tutti amici senza odi e rancori.
Quando per fare pace bastava il mignolo.
Quando tutto era più semplice.
E allora mi rendo conto che le ginocchia sbucciate non facevano così male.
Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia.
Martina 2CC — 12 Aprile 2020 @ 20:24Perché oltre la nera cortina della notte ci aspetta un’alba che sorgerà più splendente e abbagliante di prima come una rinascita,un nuovo inizio
Auguriamo a tutti voi Serena Pasqua!
Una delle MajoFamily — 12 Aprile 2020 @ 14:02Forse non ora,forse non oggi e forse non domani,ma voglio continuare a credere che ogni cosa si sistemerà e che questo brutto periodo passerà. Questo è il mio augurio per questa Santa Pasqua
Mamma Paola — 12 Aprile 2020 @ 8:23Buongiorno a tutti. Sono Paola Sbuelz, una ex prof del Majorana. Approfitto di questo meraviglioso spazio, nato da un’esigenza purtroppo tragica, per augurare a tutti voi, ai miei ex colleghi, ai miei ex bidelli, alle persone della segreteria, alla preside, ai ragazzi, ai loro genitori, dal profondo del mio cuore, un augurio sincero di Buona Pasqua, di speranza, di rinascita, di fratellanza.
Paola Sbuelz — 10 Aprile 2020 @ 19:08In particolare ho sempre nel cuore i miei ex alunni ora in 3cc e in 5cc, che abbraccio forte uno per uno. Quelli più piccoli, che ho lasciato freschi primini entusiasti e affettuosi, sopravvissuti al primo round, e che sono ormai giovanissimi uomini e donne. E soprattutto i più grandi, che quest’anno devono coronare il loro cammino liceale: quest’inverno, quando -spesso- mi venivano in mente, me li immaginavo timorosi, ma concentrati e preparati mostrare a giugno a dei prof esterni (speravo anche miei attuali colleghi, cui avevo già parlato di voi) quanto siete capaci, sensibili, intelligenti, profondi… purtroppo la vita ci sorprende, oggi in modo particolarmente doloroso, ed è probabile che vivrete una Maturità speciale e blindata. Non importa, stiamo vivendo una prova che deve renderci più grandi e maturi. Come il Venerdì Santo, che è stato passaggio obbligato per la Pasqua. Vi abbraccio stretto, tutti, confidando che ritornerà il sole e augurandovi di tenere accesa comunque la vostra lampada. Buona Pasqua a tutti.
PABLO NERUDA – Ode alla speranza
Crepuscolo marino,
in mezzo
alla mia vita,
le onde come uve,
la solitudine del cielo,
mi colmi
e mi trabocchi,
tutto il mare,
tutto il cielo,
movimento
e spazio,
i battaglioni bianchi
della schiuma,
la terra color arancia ,
la cintura
incendiata
del sole in agonia,
tanti
doni e doni,
uccelli
che vanno verso i loro sogni,
e il mare, il mare,
aroma
sospeso,
coro di sale sonoro,
e nel frattempo,
noi,
gli uomini,
vicino all’acqua,
che lottiamo
e speriamo
vicino al mare,
speriamo.
Le onde dicono alla costa salda:
Mamma Paola — 10 Aprile 2020 @ 11:47Tutto sarà compiuto.
In questo particolare tempo che stiamo vivendo, l’opera d’arte che mi ha aiutato nella riflessione sulla Pasqua, è Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere di Vincent van Gogh. Il tormentato artista olandese nonostante venga considerato geniale, folle e visionario ha realizzato dei capolavori che sono intrisi di una forza che erompe dalla tela per colpire gli occhi e il cuore dello spettatore.
Nel febbraio1888, van Gogh lascia Parigi e si trasferisce ad Arles nel Sud della Francia. All’inizio della sua trasferta, il cattivo tempo invernale impediva al pittore di lavorare all’esterno, però nonostante il freddo, quell’anno, i mandorli fiorirono in anticipo, prefigurando un riscaldamento imminente e Vincent inizia a dipingere i paesaggi in fiore e tra questi raffigura un ramo di mandorlo, in un semplice bicchiere trasparente. Van Gogh dipinge questa tela proponendo l’effetto di una luce brillante che entra dalla finestra. I raggi di sole invernali penetrando attraverso il vetro del bicchiere fanno brillare i delicati petali bianchi. Questa tela, insieme a un’altra opera del pittore intitolata Ramo di mandorlo in fiore che realizza due anni dopo nel 1890, in occasione della nascita del nipote, sembrano essere un insolito inno alla vita, una parentesi di felicità nella sua tormentata esistenza.
Solitamente la fioritura del mandorlo annuncia la primavera, la rinascita e la speranza. Nella tela che abbiamo preso inizialmente in considerazione, sembra che van Gogh, riempendo di luce quella natura morta che dipinge decide di far entrare nella sua stanza la primavera. L’inquieto artista dà l’impressione di cercare il sole della Provenza e vuole raccontare la felicità che desidera e che in quel momento percepisce come dono di gioia ritrovato in quello sprazzo di sole che entra nel bicchiere e che dà vita a quei fiori recisi. Secondo alcuni esperti, la linea rossa lungo la parete beige e il nome scritto in alto a sinistra sono simbolo di speranza. Il pittore, come se volesse lasciare al di là della linea rossa la sua vita impallidita e tormentata dal freddo della sofferenza e vuole mostrare il vero Vincent che il suo animo bramava. In quest’occasione, van Gogh trasforma la natura morta in una nuova natura incentrata sulla vita, grazie al valore della speranza che, nonostante tutto, percepisce. Ciò viene anche confermato, dai colori brillanti presenti nell’opera. Anche le vivide gemme del mandorlo rimandano alla speranza che dona vitalità e luce all’esistenza la quale, spesso, appare opaca e vuota agli occhi degli uomini.
Il significato profondo della Pasqua è quello di “passare oltre” dalla morte alla vita, dal buio alle tenebre, dalla schiavitù del peccato alla liberazione. Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione ha realizzato ciò che prefigurava attraverso la parabola del “Chicco di grano”.“Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Gesù crocifisso e risorto è “passato oltre” come il chicco di frumento che, passando ad essere altro da sè, ha portato frutto. Il Risorto ha donato beneficio a tutta l’umanità che deve passare dall’inverno freddo e arido dell’individualismo ad una nuova primavera di valori.
Anche il travagliato van Gogh, in Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere, lasciando entrare la luce ha trasformato la natura morta in una nuova realtà fondata sulla vita per riferire il suo desiderio di felicità. Allo stesso modo anche ognuno di noi, nonostante le preoccupazioni e le paure in questa strana e insolita Pasqua che ci accingiamo a vivere, deve cercare il sole della speranza e lasciarlo entrare sia nelle nostre case che dentro le nostre esistenze. Il calore e la luce di questo particolare sole trasformerà il buio in luce e il freddo glaciale delle nostre sofferenze lascerà il passo al tepore della gioia di una stupenda primavera. Allora, sarà ancora Pasqua per tutti.
Auguri di cuore a tutti!
Buona Pasqua 2020!
Maurizio Buonocore
(opera di riferimento :
Vincent Van Gogh,Ramodi mandorlo in fiore in un bicchiere,
Van Gogh Museum Amsterdam,1888)
link per vedere l’opera:
Maurizio Buonocore — 8 Aprile 2020 @ 15:12https://it.wikipedia.org/wiki/Ramo_di_mandorlo_in_fiore_in_un_bicchiere#/media/File:Vincent_Willem_van_Gogh_074.jpg
La speranza è come una strada nei campi: non c’è mai stata una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma.
Mamma Paola — 4 Aprile 2020 @ 20:39(Yutang Lin)
Cari professoresse e professori,
quest’anno è stato il nostro #senioryear, l’ultimo anno della nostra carriera scolastica, l’ultimo di una lunga serie piena di capitomboli e inciampi, ma anche di sorrisi, conquiste e soddisfazioni.
Con immenso dispiacere, non è più solo la maturità il grande ostacolo che da lontano osserviamo e che speriamo ci proietti verso tutte quelle che sono le nostre ambizioni; il nostro futuro appare ora meno limpido e certo, offuscato da molte preoccupazioni che sicuramente anche voi condividete.
È una situazione particolare quella che stiamo vivendo, la cancelliera tedesca Angela Merkel l’ha definita la situazione più grave dalla fine della seconda guerra mondiale. È un momento che certamente le future generazioni troveranno scritto sui libri di scuola e difficilmente troveranno possibile una cosa del genere: tutto il nostro mondo in perenne frenesia si sta fermando, o perlomeno rallentando, sotto i colpi di questo nemico invisibile; l’economia stessa è al tracollo. La globalizzazione nel giro di poche settimane ci ha fatto sentire, forse per la prima volta nel corso dei secoli, cittadini del mondo, abitanti di una piccola palla di roccia nell’immensità del cosmo uniti a fronteggiare una causa comune. Numerosi sono stai i messaggi di solidarietà inviati da ogni nazione del mondo al bel paese, prima che il virus li raggiungesse e si diffondesse anche sul loro territorio.
Ogni sera sentiamo in radio o in televisione quello che ormai sembra un bollettino di guerra: i nuovi infetti giornalieri nel mondo crescono esponenzialmente così come il numero dei morti, seguito dal sempre troppo basso numero di guariti. Il D.P.C.M dell’8 marzo ha istituito una quarantena statale ed esteso i divieti che già vigevano in tutta la Lombardia, e in altre province, a tutto il territorio della Repubblica. Milioni di studenti si sono così ritrovati costretti a casa e le aziende hanno collaudato, forse per la prima volta, lo smart working.
Al grido #iorestoacasa i social si sono mobilitati, con lo scopo di aiutare a diffondere questo difficile obbligo, quasi ossessivamente al fine di farlo diventare un sorta di mantra a cui aggrapparsi: una nuova moda da sostituire alla serata con amici in discoteca o pizzeria. Numerose sono le iniziative proposte da influencer, calciatori, stelle del basket, politici e perfino da studiosi attraverso i canali virtuali e dobbiamo dire che l’Italia ha raccolto con una buona dose di ironia e benevolenza tutto questo (tra queste ci piace ricordare l’appuntamento fisso sui balconi alle diciotto con nelle casse le canzoni che hanno fatto l’Italia).
Con gli smartphone che ci tengono connessi gli uni con gli altri, ci illudiamo di non sentirci soli in questo periodo di isolamento forzato. La verità, però, è che nonostante tutti questi schermi che ci tengono vicini non siamo mai stati così lontani; in una conversazione tramite messaggio manca tutta la comunicazione indiretta o non verbale che ci rende degli esseri umani e non dei semplici automi, si perde il sorriso di un nostro compagno quando facciamo una battuta, gli sbuffi causati da un prof che ci chiede di impegnarci o gli abbracci che ci diamo dopo una giornata no.
Nonostante tutto, l’isolamento non riesce ad intaccare le amicizie che abbiamo creato tra le file e i banchi di scuola. Una scuola che si è digitalizzata in molte sue parti, dove anche i professori meno legati alla tecnologia si stanno impegnando e dedicando al fine di mostrare l’amore che provano verso il proprio lavoro ma in particolar modo verso i loro alunni. Lo capiamo, spesso è difficile parlare con uno schermo nero pieno di cerchi colorati che vanno e vengono, un monitor su cui, solo di tanto in tanto, appare qualche nostro volto. Tuttavia ce la state mettendo tutta, e nemmeno i problemi di connessione vi stanno fermando dall’assegnare un voto o dal portare avanti il programma!
In questi giorni abbiamo molto tempo a nostra disposizione per pensare: sono milioni i dubbi e le insicurezze insormontabili. Stiamo riscoprendo il significato di molte parole come tranquillità, resilienza e soprattutto famiglia. Con i nostri genitori, fratelli e sorelle relegati in casa assieme a noi stiamo condividendo un momento che certamente segnerà la nostra esistenza: i genitori sempre di fretta ora ci insegnano a cucinare, i fratelli con cui litighiamo sempre sono diventati i nostri nuovi amici, e probabilmente non abbiamo mai telefonato così tanto ai nostri nonni per sapere se stanno bene.
Ci siete però anche voi nei nostri pensieri, un po’ ci manca vedervi entrare in aula carichi di libri e perennemente in ritardo perché avete dovuto cambiare di sede. Voi che in questi cinque anni avete provato ad insegnarci i valori di perseveranza e dedizione inerentemente alla vostra materia e lo sappiamo che non è facile! Eppure siamo arrivati alla fine di questo cammino, insieme ad alcuni di voi che ci accompagnano fin dal primo anno quando con la manina ci avete insegnato a prendere appunti e a seguire per tutta una lezione.
Abbiamo perso molti nostri compagni per strada ed altri si sono aggiunti lungo il tragitto fino a costituire la classe di adesso… molto diversa dalla prima! Abbiamo arricchito la nostra vita di esperienze diverse e indimenticabili: ci avete seguito in lunghe regate nel mare sardo, attraverso le vie della più popolosa capitale europea, e persino nei capannoni del CERN. Certo abbiamo dovuto sopportare le vostre lunghe ramanzine, ma anche noi non siamo così tanto facili da gestire! Siamo un branco di studenti ognuno con un’idea diversa da dover ascoltare, ma mai vi siete voltati e ci avete ignorati; siete sempre stati al nostro fianco anche nei momenti più difficili, cercando in ogni momento possibile di rompere il vetro che ci separa per dimostrarci che, in fondo, siete un po’ umani anche voi.
Abbiamo vagliato molti ambiti del sapere, dal moto di oggetti alla teoria della relatività, dalla nascita della letteratura italiana fino ai più contemporanei autori del secondo Novecento, dai rudimenti della programmazione fino ad algoritmi complessi, dalle basi della grammatica inglese all’analisi di testi come l’Ulisse di Joyce, dai numeri naturali agli integrali, dalla legge della conservazione della massa fino al ciclo di Krebs e alle moderne biotecnologie, dalla scoperta della filosofia al pensiero contemporaneo, dalla nascita delle prime forme d’arte fino agli incomprensibili artisti del terzo millennio, insomma dagli albori dell’umanità fino all’attualità. Eh sì, il nostro pensiero va anche a lei, prof di educazione fisica che immancabilmente, anche a distanza, cerca di farci staccare dalla sedia e far fare un po’ di movimento a questi liceali tutta testa e niente braccia; e a lei prof di religione che ci propone sempre un argomento nuovo su cui riflettere.
La scuola è stata la nostra vita e voi parte di essa. Non lo facciamo mai, siamo sempre presi dai nostri mille pensieri da ragazzi , dai nostri amori e dalle nostre difficoltà, ma per una volta vogliamo renderci conto di quanto voi siate importanti per noi.
Ora che ormai è un mese che non bazzichiamo più per i corridoi del liceo, vogliamo ringraziarvi per tutto: per averci messo alla prova, per averci trasmesso il vostro sapere in modo appassionato e per averci permesso di avere qualcuno con cui dialogare degli argomenti più complicati.
Grazie di essere stati con noi e di accompagnarci verso questi ultimi, interminabili passi, i più complicati che mai.
Vi salutiamo con tanto affetto, nella speranza e nel desiderio che presto questa assurda situazione si concluda e tutto possa tornare alla nostra bellissima quotidianità.
La Classe 5°H 2019/2020
Classe 5ªH — 1 Aprile 2020 @ 15:34Sono un’infermiera.
Una mamma — 31 Marzo 2020 @ 21:44Ogni notte per me è tempesta di pensieri(Alda Merini)
Alle volte il silenzio dice quello che il tuo cuore non avrebbe mai il coraggio di dire(AldaMerini)
Buongiorno a tutti,
in questo momento strano, dove tutto sembra in sospeso, tutto sembra in attesa, nonostante quello che vediamo intorno a noi sembri totalmente negativo, io credo che qualcosa di positivo lo abbiamo ritrovato tutti, ne sono sicura, ed è proprio il tempo.
In questo nuovo tempo ritrovato mio figlio ha scoperto quanto sia dolce guardare il sorriso di suo nonno nonostante sia attraverso uno schermo, ha goduto della serenità di un film tutti insieme sul divano, la strana sensazione della farina impastata tra le dita per fare la pasta fresca, il frastuono ossessivo della vita quotidiana soppiantato dal silenzio interrotto unicamente dal suono delle campane, ha scoperto quanto sia edificante una cena col tempo per potersi raccontare ed ascoltare, ha scoperto quanto furbo può essere il suo gatto se gli nasconde i crocchi, ha scoperto quanto siano in realtà così lunghe le giornate quando prima sembravano troppo veloci.
Certo, la libertà non ha prezzo, nemmeno se barattata col tempo per viverla, ma quando torneremo alla normalità non dovremmo dimenticarci di provare a viverlo meglio il tempo a nostra disposizione, e di non correre più per la fretta di una giornata che sta per finire.
Un grazie immenso a tutti i professori del liceo. Faccio smart working e sono seduta di fianco a mio figlio durante le video lezioni. Si sono reinventati, alcuni anche a fatica, un lavoro dove il contatto umano e visivo era di primaria importanza. Sentir loro dire ‘faccio l’appello perchè mi piace sentire le vostre voci’ mi fa sorridere di gioia, vedere i professori, quelli magari un pò più ‘datati’ (non me ne vogliano) che con la tecnologia magari nemmeno ci parlavano, connettersi, spiegare e interrogare è esemplare.
Una mamma — 31 Marzo 2020 @ 16:23Grazie di cuore, l’esempio che state dando, quello di voler e poter fare nonostante tutto, può essere più educativo di qualsiasi ora di studio!
Quello che stiamo vivendo oggi non è facile da assimilare e affrontare. I telegiornali a momenti non ci comunicano più il meteo tanto la situazione è d’emergenza. Le nostre vite verranno stravolte e difficilmente ci sarà qualcuno che non verrà affetto, neanche indirettamente, da questa pandemia. Non importa se vecchio o diabetico, giovane o asmatico, sanissimo o affetto da immunodeficienza. Non è il rischio di essere infettati che ci distingue dagli altri. Dobbiamo proteggerci tutti a vicenda, senza discriminarci, cosa che vedo e sento troppo spesso e che mi fa male al cuore. Fortunatamente non mi riferisco agli italiani, ma più che altro a quelle persone che non hanno ancora sperimentato le conseguenze di questo problema, che in realtà ci riguarda tutti. È difficile capire la gravità della situazione quando ci sembra lontana. A tutti piace credere che i nostri problemi siano lontani. Io penso a te che stai leggendo in questo momento mentre sto in casa. Io penso ai miei genitori, ai tuoi e ai suoi. Io penso ai miei nonni, ai miei parenti e ai miei amici, così come ai vostri. Io penso anche agli sconosciuti e a coloro che capiscono l’esigenza che abbiamo di stare a casa e stare al sicuro. Dato che alcuni di noi escono senza motivo, mettendo in pericolo le vostre vite e quelle degli altri, io sto a casa. Una persona in meno in circolo. Io sto rinunciando alle mie passioni, alle mie abitudini, al mio tempo libero e al mio svago all’aperto. Tu che esci con la scusa del cane e stai in giro tre ore, tu che ti senti più furbo degli altri uscendo per fare baccano, tu che sottovaluti la situazione, tu che gridi complotto. Io lo faccio anche per voi. E voi dovete rispettare questo mio sforzo. Questo nostro sforzo. I dottori, le dottoresse, gli infermieri, le infermiere, gli operatori e le operatrici socio-sanitari, loro più di me lavorano per tutti. E noi dobbiamo rispettare questo loro sforzo. C’è gente che sta letteralmente dando la vita per noi. Per questo l’unica cosa che ci può salvare adesso è rimanere uniti, a debita distanza, e non oltrepassare il limite. Io lo sto facendo. E tu?
Un* student* — 30 Marzo 2020 @ 15:15“Giovane, dico a te, alzati!”».
«Dico, dunque, a tutti voi: siate fiori che cantano, irradiate la gioia perché il mondo sta morendo di tristezza. Contrastate con il contagio della gioia il contagio del virus e di ogni male. Siate fiori che colorano la terra: svegliate la bellezza che si è assopita sotto la coltre del grigiore. Fate risplendere il bello che c’è in ogni uomo e in ogni donna».
(Omelia Arcivescovo di Milano)
Grazie a tutti gli insegnanti che stanno cercando egregiamente di far rifiori i nostri ragazzi.
Una mamma — 30 Marzo 2020 @ 10:44“Beati quelli che piangono”
Maurizio Buonocore — 29 Marzo 2020 @ 18:07Con i miei studenti, attraverso la piattaforma spark del nostro liceo, stiamo riflettendo su diverse tematiche che rimandano alla speranza. Interessanti sono le riflessioni che gli studenti hanno condiviso, ricche di speranza e forza. Con i ragazzi del primo anno, in modo particolare, stiamo meditando sulle “beatitudini” del Vangelo alla luce della situazione eccezionale che stiamo vivendo. Questa pagina del Vangelo di Matteo è un vero canto universale alla speranza della felicità. Per questo voglio condividere con tutti una riflessione su una delle beatitudini: “Beati quelli che piangono, perchè saranno consolati” e invitarvi a continuare a riflettere.
Le beatitudini evangeliche possono essere considerate come un vero e proprio progetto di vita, proposto da Gesù Cristo, a tutti gli uomini e possono essere considerate come una “dichiarazione”, che si fonda su benedizioni e promesse di felicità, suddivise in otto punti. Il termine “beato” viene attribuito a coloro che posseggono le caratteristiche per vivere appagati e godere dei benefici del Regno celeste promesso da Gesù già in questo mondo. La felicità delle beatitudini non è quella promossa dalla cultura odierna. Quella delle beatitudini nasce dal dolore. Ciò non vuol dire che la ricerca del piacere insito nella natura della vita sia negativa; ma vuol significare che se si assolutizza il piacere inteso solo come esaltazione del proprio io, non riusciremo mai a costruire una società veramente “felice” dove tutti, in egual modo, possano essere beati.
La beatitudine degli afflitti, che considera la felicità di coloro che piangono, è la più paradossale e ci pone tante domande. Infatti, quale felicità ci può essere dentro un pianto? Il pianto, di cui parla il Vangelo, sono le lacrime degli afflitti e il pianto disperato dei lutti della storia, come le lacrime versate in questi giorni nelle case, negli ospedali in cui si consumano le vite di tanti che muoiono e tanti altri che riescono a sopravvivere alla pandemia causata dal Covid-19. Sono le lacrime di tanti medici, infermieri e volontari che combattono senza tregua per la vita. Sono le lacrime dei sofferenti e dei disperati di sempre. In verità, il pianto di un neonato è segno che il bambino respira ed è vivo e questo rende evidente che il pianto e le lacrime costituiscono il primo linguaggio degli esseri umani. Il pianto, è spesso anche l’ultimo atto compiuto prima di lasciare questa vita. Tutti sappiamo immediatamente decifrare questo naturale e universale linguaggio, anche se parliamo lingue diverse e viviamo in culture differenti. Per questo motivo la beatitudine “di chi piange” è una promessa universale che raggiunge ogni essere umano e quindi ogni creatura. Gesù, chiamando beati gli afflitti, ha considerato beati tutte le donne e gli uomini della storia. La beatitudine rivolta a coloro che piangono è la “consolazione”. L’affermazione, “beati gli afflitti” del Vangelo si completa così con un’intenzione molto chiara verso la consolazione. Il Vangelo usa il verbo consolare, in greco parakaleo, che significa chiamare vicino, invitare, coinvolgere, confortare, esortare, curare. L’evangelista si rifà al profeta Isaia quando dichiara che il Messia verrà a consolare gli afflitti e dare “loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto” (cfr. Isaia 61). La beatitudine consiste allora nel fare esperienza dell’arrivo di una consolazione. Scoprire una presenza reale che ci consola mentre piangiamo. In questa beatitudine, diversamente dalle altre, la felicità sta nel cambiamento della condizione che genera la beatitudine. Quando dentro il nostro pianto e la nostra disperazione sopraggiunge la consolazione, il pianto si riduce, le lacrime iniziano a essere asciugate. La vita sarebbe insopportabile se dentro le lacrime non trovassimo anche la consolazione. Possiamo scoprire che una prima consolazione è l’esperienza di poter piangere. Tanti cambiamenti avvengono, ad esempio, con un profondo e irrefrenabile pianto. Un’altra forma di consolazione è quella che nasce dal poter piangere insieme a qualcuno che condivide la nostra sofferenza. Com-piangere, com-patire, infatti, allevia il dolore di tutti. Un’altra speciale consolazione è quella che proviene dell’arte. Il poeta, lo scrittore, il pittore, con la sua opera può raggiungere i disperati e offrire, in parte, anche a loro la consolazione che anelano. Una fondamentale consolazione degli afflitti è quella che arriva misteriosamente dall’alto, da Dio stesso come spirito di consolazione che abbraccia, come fa il padre misericordioso della parabola, che corre incontro al figlio che si era smarrito. Certo, non tutti sappiamo, o vogliamo, fare esperienza di Dio. Ma forse tutti, abbiamo incontrato nella vita, almeno una volta, questo spirito consolatore, o lo incontreremo in futuro. Non si tratta di un evento straordinario, ma di una presenza reale che arriva improvvisa al momento giusto. Penso, in questi giorni, ai tantissimi sguardi consolatori dei medici, infermieri e volontari che, se pur coperti da caschi, mascerine o tute protettive, incrociano lo sguardo bagnato dalle lacrime di tanti che si ritrovano soli nelle terapie intensive o nelle camere affollate degli ospedali, ormai saturi di sofferenza. I loro sono sguardi di consolazione e di bene che asciugano un poco le lacrime di tanti afflitti e offrono, in un modo o nell’altro, uno squarcio di luce e di speranza lasciando intravedere la strada verso casa dopo l’inaspettato smarrimento.
Sono volontaria in croce rossa e alunna al majo. In questi giorni ho fatto alcuni servizi in cui portavo i farmaci e la spesa agli anziani, mi è capitato di fermarmi a scambiare due parole sulla porta a debita distanza e mi sono accorta di una cosa: si sentono soli!
Un'alunna — 28 Marzo 2020 @ 19:37Quindi ho un consiglio da dare a tutti gli alunni/professori/genitori: se avete parenti/conosceti in quarantena da soli, chiamateli! Non avete idea di come si illumini il loro viso quando ci vedono arrivare, perfetti sconosciuti ma comunque le uniche persone che incontrano nell’arco della settimana.
Comprato in edicola giovedì mattina e letto tutto d’un fiato, Nel contagio di Paolo Giordano…
Alessandra Silva 5°A e 1°bb — 28 Marzo 2020 @ 16:39Ma, prima di chiudere il libro è inevitabile un’esitazione … ed è allora che allo sguardo si impongono le parole delle ultime due pagine, soprattutto le tre righe con cui si questa riflessione si conclude…
Contare i giorni.
Acquistare un cuore saggio.
Non permettere che tutta questa sofferenza trascorra invano.
Perché è proprio così, davvero in questi giorni tutti non fanno altro che contare: gli infetti e i guariti, i ricoveri e le persone che sono mancate … e noi, insegnanti e studenti, le mattine di scuola perse, le ore di video-lezione già fatte e quelle ancora da fare, qualcuno anche i giga del cellulare che diminuiscono a vista d’occhio…
E contiamo e ricontiamo i giorni, soprattutto quelli, i giorni che ci separano da quando l’emergenza sarà passata.
Ecco allora che, in questo momento che può sembrare solo un intervallo penoso, ancora una volta lo stupore ci coglie mentre ascoltiamo una voce che si leva dalle profondità incommensurabili di un tempo “perduto” alle origini del mondo, ma che attraverso la pagina scritta è capace di raggiungerci con tutta la sua potenza in queste ore sospese, quasi a tenere accesa nei nostri cuori la luce della speranza.
Si tratta un’invocazione contenuta nel Salmo 90, su cui Paolo Giordano invita a porre la nostra attenzione:
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
… fare uno sforzo per attribuire un senso al contagio, imparando a usare meglio questo tempo, così che possa davvero essere vissuto come καιρός, il momento favorevole da impiegare per pensare ciò che la normalità ci impedisce di pensare: come siamo arrivati qui, come vorremo riprendere, questo è l’essenziale nei giorni che stiamo vivendo.
Si comprende, allora, l’incredibile aiuto che l’esperienza scolastica può offrirci in queste ore, in cui aprire una finestra nel buio di un passato, che in altri momenti a qualcuno avrebbe potuto sembrare ormai morto, può fare la differenza, perché con stupore sempre nuovo ci sentiamo raggiunti dall’eco di voci che sul tempo ci hanno lasciato parole indimenticabili, capaci di confortare in momenti come questo: un dono prezioso di cui dobbiamo essere grati, come ho detto agli studenti della 5°A a cui ho proposto la lettura e lo studio del De brevitate vitae, quell’opera con cui Seneca vuole, appunto, iuvare mortales aiutandoli a capire come usare bene il tempo a loro disposizione.
Ascoltare questa voce nel non-spazio di un’aula virtuale è stata – e continua a essere – un’emozione rara, quasi incredibile, perché veramente vengono i brividi e ci si commuove scoprendo che
Quella fede nell’uomo che si è fatta parola,
non attende che un lettore per rivivere.
E ha di bello che, essendo svanita la realtà
che le ha prodotte, le parole danno adesso
da sole
tutto il senso e la freschezza che contengono. [PAVESE]
E così ci rendiamo conto che veramente – come Raskolnikov afferma in Delitto e castigo –
Vengono certi momenti in cui occorre assolutamente andare da qualcuno!
…. tanto più ora che non possiamo farlo fisicamente. Per questo le parole di Seneca ci confortano, perché come tutti i grandi anch’egli non manca mai all’appuntamento con chi si pone in ascolto delle sue parole: a tutti dona il suo tempo, come con lui hanno fatto altri prima di lui, con i quali egli ci dice che
nocte conveniri, interdiu ab omnibus mortalibus possunt
(di notte, di giorno a tutti è possibile incontrarli)
È bello sapere che, in questo dialogo senza barriere di tempo e di spazio, l’incontro con qualcuno che
per tutta la vita, ha cercato di parlare con te [PAVESE]
può sempre accadere, anche in un tempo sospeso come quello in cui da un giorno all’altro ci siamo trovati immersi e nel quale siamo chiamati a dare un senso a una quotidianità che ora ci sembra assurda perché, lo sappiamo bene, la vita è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere [PIRANDELLO].
Ringrazio, quindi, i miei studenti di 5°A che, seppure in giornate difficili, sono stati capaci di far risuonare in tutta la loro verità le parole degli autori a cui in questo periodo ci siamo accostati leggendone i testi: ed è così che anche il momento dell’interrogazione è stato davvero … un incontro tra uomini.
Per usare ancora le parole di Pavese,
Pensiamo a essere uomini. Il resto verrà.
Anche se il timore avrà più argomenti,scegli la speranza.
Mamma Paola — 28 Marzo 2020 @ 16:11(Seneca)
Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia.
(Haruki Murakami)
Anonimo — 27 Marzo 2020 @ 17:09Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
Una mamma — 27 Marzo 2020 @ 10:20(Ungaretti)
Se sapremo trasformare il dolore in qualcosa di buono, diventeremo la migliore versione di noi stessi e, come un’ostrica ferita, produrremo delle perle.
Romina Sutera — 27 Marzo 2020 @ 0:01Le perle, infatti, nascono solo quando un corpo estraneo, come un granello di sabbia, riesce ad entrare dentro l’ostrica. A quel punto, l’ostrica attiva dei meccanismi di difesa, producendo una sostanza che ricopre il corpo estraneo con diversi strati. Questa sostanza è la madreperla.
E così una perla altro non è che il risultato di una ferita cicatrizzata, della lotta dell’ostrica per proteggersi.
Ne usciremo più forti di prima! 💖
Buona sera a tutti,Dottoressa Rauseo,professori,ragazzi,ragazze,stiamo vivendo un periodo molto difficile sotto molti punti di vista.Ho dei momenti durante i quali mi sembra di essere la protagonista di un film di fantascienza.E’ complicato spiegare,ma vi garantisco che non è una sensazione piacevole.Mi sembra quasi di regredire,vorrei la mia mamma.
Mamma Paola — 26 Marzo 2020 @ 18:43Per fortuna i nostri ragazzi ci danno forza,il mio poi continua a parlare di scuola,dei suoi Proff.,delle lezioni.Sono contenta di ciò perché significa a che la nostra scuola è proprio fantastica.
[…] Durante il mese di marzo, perciò, i giorni son diventati più densi. Quel tempo libero, che inizialmente sembrava un periodo festivo, allungandosi a dismisura a causa della costrizione ha imposto alcune domande inevitabili […]
Prof. Francesco Tanzilli — 25 Marzo 2020 @ 18:53Le domande e la compagnia – leggi la lettera completa
Cari professori, cara dirigente, cari collaboratori e cari alunni, questo momento che stiamo vivendo è davvero strano (per usare un eufemismo): personalmente, alterno momenti di profondo scoramento, con sentimenti di alienazione ad altri di positività e speranza, nel tentativo di far prevalere questi ultimi sui primi. Voglio credere che anche da questa situazione drammatica possa nascere qualcosa di buono: senza voler fare inutile retorica e ripetere frasi già lette e rilette, l’unica cosa che davvero auguro a tutti è di rivalutare l’importanza dei rapporti, delle relazioni umane e di comprendere che da questa situazione, che ci ha costretti all’isolamento, impariamo quanto sia importante essere aperti al mondo, agli altri e che davvero solo dal senso di responsabilità e dall’amore verso il prossimo potrà arrivare la nostra salvezza.
Una mamma — 25 Marzo 2020 @ 10:03Colgo l’occasione per ringraziare i docenti per il lavoro egregio che stanno facendo con i nostri ragazzi, in queste condizioni precarie…grazie per la vostra professionalità, che troppo spesso non viene riconosciuta. Grazie da una mamma di vostri alunni.
Visto che già da diverso tempo era noto ai Governi di tutto il mondo che le probabilità di pandemia erano molto alte nel mondo (*) e non si è fatto nulla per prepararsi, mi auguro che i nostri figli ed in generale le nuove generazioni abbiano più consapevolezza e la scuola li prepari ad affrontare con più logica scientifica e meno politica i rischi globali che potrebbero mettere in futuro a dura prova l’umanità.
(*) vedi, ad esempio, il rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità di settembre 2019: World at risk”
Aurelio — 24 Marzo 2020 @ 22:15[…] Ho sentito che a qualcuno fanno piacere i messaggi di incoraggiamento, così vorrei contribuire. Vorrei dire che questo momento passerà e che ci lascerà dei doni preziosi […]
Una professoressa — 24 Marzo 2020 @ 21:39Leggi la lettera completa
[…] Sono la mamma di un ragazzo di prima e vorrei farla partecipe di ciò che sta accadendo ai ragazzi a casa, magari le farà piacere avere notizie […]
Leggi la lettera completa
Una mamma — 24 Marzo 2020 @ 21:21